In breve, per chi va di fretta:

 

CENNI STORICI

 

Anticamente il Castello Brandolini aveva la struttura di una fortezza con presidio militare, probabilmente a difesa dell'antica Via Imperiale Romana Claudia Augusta Altinate.

Nella metà del 1200 i signori da Camino lo resero abitabile, circondandolo di una merlatura alla guelfa con torre centrale.

Nel 1436 la Repubblica Veneta investì Brandolino IV ed Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, del feudo della Val di Mareno.

 

In un secondo momento venne governato esclusivamente dalla famiglia Brandolini. Il castello venne ampliato nella sua parte centrale con gusto sansoviniano da Anton Maria Brandolini, il quale impresse al castello un garbo veneziano. L'ultima a sorgere è la parte settecentesca progettata dall'architetto Ottavio Scotti di Treviso, una struttura lineare e imponente volta ad un rigoroso classicismo.

 

Oggi il complesso, momentaneamente in corso di restauro, sta ritornando all'originario splendore con degli interventi mirati. Sarà un centro polifunzionale che offrirà al visitatore molteplici servizi, cultura e relax.

 

 

 

 

…per chi invece ama la lettura approfondita:

 

IL CASTELLO BRANDOLINI E IL SUO TERRITORIO

 

La via di penetrazione dei primi gruppi umani per giungere nella Vallata è rappresentata molto probabilmente dalla valle del Soligo, attraverso la quale le prime tribù di cacciatori nomadi si spostavano dalla pianura all’alta montagna seguendo le mandrie.

La più antica presenza umana nella valle è costituita dal ritrovamento musteriano di Roncavazzai, dove il Soligo e il Follina si incontrano, di una selce scheggiata (Paleolitico medio 120.000 – 40.000 a.C.), dello stesso periodo sono i ritrovamenti avvenuti sulla collina Bronca situato presso la stretta di Colfosco e in Località Bavaria presso Nervesa entrambe località a sud della valle del Soligo.

Con l’inizio del I Pleniglaciale si instaura nuovamente un clima rigido  nel quale  prevale la steppa  e nel nostro territorio compare il Mammut, i cui resti sono stati rinvenuti nel 1974 a Colbertaldo di Vidor presso la cava argillosa Codello ora conservati presso il Museo di Crocetta del Montello, (Fig.1) a Possagno e ai piedi della collina di Asolo nelle  ghiaie del torrente  Erega.

Con il definitivo ritiro dei ghiacci (13º millennio a.C.) l’addolcimento climatico favorì la forestazione, l’incremento faunistico e demografico; in questo periodo l’ambiente della Vallata era quanto mai vario con corsi d’acqua, paludi, laghi, boschi di latifoglie e querce che ospitavano diversi tipi di selvaggina.

Il sito mesolitico di Follina, tipico di questo periodo, è situato nella collina di Cà Carniellon (Fig.2) posta in posizione panoramica sopra il corso del Soligo in un punto dove il fiume viene alimentato dalle risorgive. Un altro insediamento, culturalmente analogo sorgeva più a sud in prossimità dello sbocco della Vallata a Falzè di Piave. Anche presso il Cansiglio nel sito Casera Lissandri, sono stati rinvenuti dei manufatti litici, appartenenti al mesolitico antico, che confermano la presenza di un accampamento temporaneo di cacciatori.

A partire dal Neolitico inizia una più assidua frequentazione di gruppi di cacciatori che nella bella stagione da fondovalle si spostavano nella montagna bellunese per battute di caccia, ma grazie a importanti innovazioni tecnologiche, l’uomo inizia a stabilizzarsi in sedi abitative fisse.

Da ricordare un importante ritrovamento neolitico a Cordignano in località Palù di migliaia di oggetti

in selce, reperti ossei, terrecotte e anche di un’ascia triangolare in serpentino verde.

Più modesti i ritrovamenti appartenenti al tardo neolitico provengono dalla bassa valle del Piave, dal Montello, da Susegana e dall’Alto Livenza.

E ancora, nella località Canale Barche di Revine-Lago, sono stati recuperati, presso abitati di tipo perilacustre vicino ai laghi, frammenti di vasellame, corno di cervo, palificazioni e soprattutto un pugnale di tipo peschiera e due spade souenbrunn, (attualmente conservati al Museo Civico di Conegliano e al Museo del Cenedese a Vittorio Veneto) tutti probabilmente risalenti all’età del Bronzo XV-XIII secolo a.C.(Fig.3)

Attorno al II millennio a.C. ci fu una prima ondata migratoria di popolazioni indoeuropee provenienti da oriente. Per proteggersi da queste genti nomadi non sempre pacifiche, la popolazione indigena abbandonò le  zone di pianura per ripararsi nelle alture, dando così origine ai “castellieri”: strutture fortificate d’altura generalmente rafforzate da palizzate o sassi, posti sulla sommità di un colle che veniva spianato.

Tra i castellieri più importanti ricordiamo quello di Rugolo nel comune di Sarmede caratterizzato da una forma troncoconica e da un girone di vegetazione dove si sono ritrovate ceramiche e materiale litico collocabile alla fase finale del bronzo. Il castelliere di Villa di Villa nel comune di Cordignano, ha dato modo di ritrovare manufatti di periodi diversi: più di 80  statuette votive, 50 lamine integre o frammentarie, fibule, monete che vanno dal I al III secolo d.C. e ceramiche appartenenti a tutto il periodo della Repubblica fino a tutto il III secolo dell’Impero.

Il castelliere di Costa frequentato sino al 900 a.C., il castelliere del Monte Altare di Vittorio Veneto che successivamente venne usato come santuario sino al IV secolo d.C.

Verso il I millennio a.C. si ha una seconda immigrazione di genti indoeuropee ed in questo periodo che ha inizio la civiltà dei Paleoveneti.

Secondo la leggenda fu Antenore, saggio consigliere dei Troiani, a guidare nella nuova terra i Veneti cacciati dalla Paflagonia e a fondare la città di Padova.

L’area abitata dai Paleoveneti coincideva con il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e con il Trentino Alto Adige, dove era legata ad altri aspetti culturali; i centri principali furono Este e Padova e da loro  dipendevano gli altri villaggi.

Nella zona pedemontana, fra Piave e Livenza gli insediamenti principali furono Montebelluna, Mel e Vittorio Veneto ma importanti santuari e stipi votive sono state rinvenute anche a Villa di Villa, Castello Roganzuolo, Scomigo, Tarzo e in località Prà della Stella in comune di Orsago.

I centri maggiori divennero insediamenti stabili attorniati dalle necropoli; l’agricoltura e l’allevamento erano le attività principali e nell’artigianato si effettuava la lavorazione della ceramica, del bronzo, del legno, dell’osso e della tessitura (Fig.5).

Secondo antiche fonti i Veneti erano rinomati per l’allevamento dei cavalli ai quali attribuivano molta importanza, prova ne è che in alcune tombe il cavallo veniva inumato vicino al proprietario.

Particolarmente noti erano anche per le gare olimpiche durante le quali i Veneti erano rappresentati dal color azzurro.

Verso il IV secolo a.C. iniziano i primi rapporti dei i Veneti con Roma, il passaggio alla romanità avverrà in maniera graduale e pacifica con accordi e patti, ottenendo nel’88 a.C. la cittadinanza romana per non essere insorti contro Roma come altre popolazioni italiche.

Con Ottaviano Augusto nel 43 a.C. l’Italia venne divisa in 11 regioni e le Venezie formarono la X Regio delimitata a Ovest dall’Adda, a sud dal Po, ad Est dall’Istria e a Nord dalle Alpi.

Agli inizi del I secolo d.C. il generale Druso al fine di mettere in comunicazione i porti adriatici con i bacini del Danubio, comincia la costruzione dalla via Claudia-Augusta-Altinate (Fig. 6); la via militare partendo dal porto di Altino attraversava la pianura Padana, passava la Valmareno arrivando sino a Cesio per poi continuare al di là delle Alpi.

A difesa della via vennero probabilmente erette infrastrutture di difesa piccole fortezze, torri vedette, mutatio delle quali abbiamo ancora traccia sul monte Castellazzo, a Revine (castello di monte Frascone), Tarzo e Tovena, e che probabilmente catalizzarono la formazione di modesti borghi come Cison, Tovena e Soller.

Sempre in epoca romana  si può ipotizzare, dopo il recente rinvenimento di antiche mura, la presenza di un castrum primordiale.

Tra il IV e il VI secolo si può collocare un importante sito rinvenuto in località Castellazzo che testimonia la presenza di un insediamento tardo romano – altomedievale nella Valmareno; tale sito ha fornito: utensili, chiavi, toppe di serratura, lame di coltelli, punte di frecce, vomeri, zappe, ornamenti e monete, sia in ferro che in bronzo e argento.

Con la caduta dell’Impero Romano iniziano le invasioni barbariche sino all’assoggettamento da parte dei Longobardi insediatisi nella regione nel 568 sotto la giuda di re Alboino.

Oderzo diventerà sede di un Ducato che andava dal Piave al Tagliamento e si appoggiava sulle Fare tra cui quella di Soligo, Mel, Roganzuolo, Gai, Farrò.

Secondo la tradizione la regina Teodolinda, dopo la morte del primo marito, sposa Agilulfo e lo converte al cristianesimo facendo anche numerose elargizioni alla chiesa; la Valmareno, insieme ad altri beni, viene donata al nascente episcopato di Ceneda alle cui vicissitudini rimarrà legata per lungo tempo.

Nel 774 ha fine il dominio longobardo sostituito da quello franco guidato da Carlo Magno che nel 794 eleva Ceneda a Contea, probabilmente reintegrandovi la stessa nobiltà longobarda. Nel 899 giungono in Italia gli Ungheri che invasero a più riprese con ferocia il ducato di Ceneda.

A questa invasione risale la fase dell’incastellamento che vede sorgere numerosi castelli e fortificazioni contro gli assalti degli Ungheri; è così che i vari signorotti costruirono le basi per mantenere soggette al loro potere alcune aree.

A riportare l’ordine sarà il papa Giovanni XII che chiamerà Ottone I di Sassonia re di Germania nominandolo imperatore; il nuovo imperatore restituirà la giurisdizione temporale a Sicardo vescovo di Ceneda nominato feudatario dell’Impero.

Verso l’XI, anche se non esistono documenti, secolo i vescovi cenedesi diedero in feudo la Valmareno ai conti di Porcia, già investiti di altri possedimenti nell’Alto Cenedese.

Nel 1154 avviene un importante matrimonio tra Guecello II da Camino e Sofia di Colfosco figlia di Valfredo conte di Colfosco e di Adelaide di Porcia ed ereditaria di numerosi feudi tra i quali vi è anche la Valmareno che così passa sotto la giurisdizione dei Caminesi.

In un documento del 1163 si fa riferimento ad un Castro Coste, denominazione che gli deriva dallo sperone roccioso su cui sorge.

Al castello di Costa si contrapponevano da un lato, alla destra a Nord-Est il castello di Montalban e a Nord, sulla montagna di Mareno in località  Castellazzo i resti di un’antica costruzione.

Nella prima metà del 1200 Gabriele III da Camino trasforma la costruzione sul costone del primo embrione del castello (Fig.7) in un palazzotto circondato da una lunga e forte merlatura alla guelfa e torre centrale (Fig.8). Probabilmente si deve sempre a lui l’erezione della prima chiesetta romanica di S. Martino, già presente nel testamento di Gabriele III datato 1224.

Una data è certa quella del 1240 scolpita in caratteri romani sull’arco a tutto sesto di una finestra posta sotto il campaniletto sul lato Nord dell’ala più antica. Nel 1248 vengono ricordate la porta nuova e la nuova cerchia costituita da uno spazio attorno al castello delimitato da una fossa, dove c’erano case abitate da gente del paese, circondate da terre coltivate, fratte e boschi.

Il testamento di Gabriele III da Camino provocò numerose discordie tra i nipoti, risolte dal vescovo di Ceneda Alberto da Camino con la divisione della casata in Caminesi di Sotto i discendenti di Gueccello V ai quali toccò Tarzo, Camino, Credazzo, Motta, Cessalto e Oderzo, e Caminesi di Sopra, discendenti di Biacquino II ai quali toccarono i feudi di Serravalle, Valmareno,

Formeniga, Castello Roganzuolo, Fregona, Cordignano, Solighetto e Zumelle.

Quando nel 1335 muore Rizzardo IX da Camino, unico nipote di Guecello VII senza eredi maschi, il feudo venne conteso tra il vescovo di Ceneda e il ramo dei Caminesi di Sotto; ma nel 1337 dopo una guerra biennale tra le due parti la vittoria tocca al vescovo di Ceneda Francesco Rampone che investe i procuratori di San Marco, Marco Morosini e Giustiniano Giustiniani del feudo di vari territori tra i quali anche quello della Valmareno.

Nel 1343 la Repubblica Veneta accordò al vescovo che a Gherardo e Rizzardo da Camino fosse conferita l’investitura con formula ereditaria sui castelli di Cordignano, Valmareno, Solighetto e Zumelle, ma alla morte di Gherardo, Rizzardo rimane unico proprietario dei castelli e trovandosi in situazione economica precaria si rivolge a Venezia che nomina il patrizio Marin Feliero feudatario della Valmareno in una solenne cerimonia avvenuta nella cattedrale di Ceneda.

Da allora la gastaldia prese il nome di Contea di Valmareno.

I continui soprusi e le angherie che la popolazione subì sotto il governo di Falier causarono una rivolta e nel luglio del 1351 il castello viene assediato.

Ma il possesso del castello da parte del neo Doge Falier fu breve, infatti, scopertasi la sua congiura per trasformare la Serenissima in signoria, fu decapitato e il feudo passò alla Repubblica di Venezia.

Nel castello si insediarono prima dei capitani e poi dei podestà sino a quando nel 1436 il doge

Francesco Foscari consegnò il feudo a due capitani di ventura, fratelli d’arme: Erasmo da Narni detto il Gattamelata e Brandolino IV da Bagnacavallo, per ricompensarli dei servizi resi al loro stato (Fig.9).

Quando l’anno successivo il Gattamelata viene elevato al grado di comandante dell’esercito veneto, cede, per cinquemila ducati, la sua parte di feudo a Brandolino che diventa unico signore del feudo e primo conte della Valmareno.

Ovviamente il castello fu il cuore del feudo, sicché appare logico che i Brandolini provvidero a più riprese ad ingrandirlo.

Agli inizi del 1500 Anton Maria Brandolini fece erigere il corpo centrale, di chiara matrice veneziana, caratterizzato da un doppio ordine di elegantissime bifore, trifore e balaustre finemente traforate (Fig.10); realizzò inoltre le mura rettilinee con i bastioni circolari del perimetro esterno ed il bel parco ricavato negli spalti all’interno dei bastioni, ornato dalla vasca

monolitica di una fontana che riceve l’acqua da un satiro scolpito in pietra.

Con Anton Maria Brandolini quindi il castello subì una radicale trasformazione passando da rude organismo difensivo e abitativo ad un’elegante dimora.

Grazie a un quadro eseguito alla fine del 1600 dal pittore fiammingo Mattias Gremsl  (Fig.11) ci può aiutare a ricostruite l’aspetto del castello in quel periodo.

Tutti gli elementi dell’ala cinquecentesca insieme all’accurata decorazione a laterizio, al soffitto a travi e alle decorazioni dei portali, hanno indotto ad attribuire a Jacopo Sansovino tale realizzazione, al quale furono assegnate diverse opere dell’area cenedese: la loggia di Ceneda, il santuario e il duomo di Motta, il campanile di Sernaglia, senza alcuna certezza documentaria.

I Brandolini, vista l’importanza della loro famiglia, avrebbero potuto conoscere Jacopo Sansovino che però all’epoca della costruzione dell’ala cinquecentesca (1510-1525) non era ancora giunto a Venezia, dove arriverà solo dopo il sacco di Roma (1527).

Nel 1683 Guido VIII fece costruire un teatro nell’ala cinquecentesca del castello , iniziato a giugno di quell’anno, nell’autunno successivo era già pronto per i primi spettacoli teatrali.

Il teatro venne messo a disposizione non solo per rappresentazioni musicali e feste da ballo ma anche per la formazione culturale e civile dei sudditi.

(Fig.13 Ottavio Scotti – Disegni dell’ala settecentesca)

 
Nel 1710-30 circa Guido IX Brandolino affidò all’architetto Ottavio Scotti la realizzazione di una nuova ala del castello (Fig.13).

Scotti sceglie una tipologia che è ad un tempo palazzo e castello con una tipologia ad effetto che si distacca dalla tradizione veneta volta ad un rigoroso classicismo. Rispettando le strutture preesistenti e utilizzando in modo brillante i dislivelli, egli concepì un corpo a C a Sud dell’ala rinascimentale strutturato in modo da delimitare un prospettico cortile d’onore parallelo al cannocchiale ascendente dello scalone..

Scotti punta sui rapporti armonici di cornici e finestre e sul sistema distributivo delle diverse aree chiaramente identificabili: su diversi piani sono sistemati gli appartamenti privati, quelli degli ospiti, quelli degli stranieri e della servitù, trovano posto anche la nursery e le scuderie, la limonaia e gli alloggi della guarnigione, insieme ai depositi per le carrozze ed ai magazzini di servizio.

L’opera dello Scotti si conclude con la realizzazione della chiesetta di S. Martino, eretta a sostituzione di una precedente e decorata con

pregevoli affreschi realizzati dal pittore cisonese Egidio Dall’Oglio (1705-1784)  raffiguranti i dodici apostoli isolati in medaglioni (Fig.14).

Nel 1797 con la caduta della Serenissima sotto i colpi dell’invasione napoleonica, anche il feudo di Valmareno cessava di esistere e con il nuovo assetto amministrativo del napoleonico Regno d’Italia, Cison di Valmarino divenne uno dei comuni della provincia di Treviso.

Assetto che si mantenne anche durante la dominazione austriaca, con il Regno Lombardo Veneto sancito dal Congresso di Vienna.

Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia avvenuta nel 1966, il paese segue le vicende della maggioranza dei piccoli centri agricoli della regione.

Il castello dal suo canto vive una stagione brillante per la visita di illustri ospiti, citiamo in particolare quella della regina Margherita avvenuta nel 1876, momento in cui era ancora in atto il restauro imposto dopo un grande incendio che nel 1872 aveva distrutto parte dell’ala più antica e da un terremoto avvenuto nel 1873.

Durante la I Guerra Mondiale Cison, come tutta l’area della sinistra Piave, subì l’invasione austriaca a seguito della rotta di Caporetto nel tardo autunno del 1917.

In questo periodo la famiglia Brandolini si trasferì nella villa di Solighetto chiudendo il castello che venne adibito ad ospedale militare austriaco con la conseguente spoliazione dell’arredo e di varie opere d’arte: prezioso mobilio fu usato come legna da ardere.

Altri guasti, anche se in misura minore, si ebbero durante il secondo conflitto mondiale.

Nel 1929, dopo un restauro decennale sostenuto dal conte Girolamo IV, il castello venne riaperto come residenza di famiglia, come ricorda una lapide posta nel vecchio ingresso.

Nel 1959 i Brandolini vendettero il castello (Fig.15) ai Padri Salesiani che adattandone la struttura lo utilizzarono come sede di un centro spirituale.

Nel 1997 il castello venne acquistato dalla Quaternario Investimenti che con radicali interventi di restauro e ripristino permetterà una nuova e più ampia fruizione del castello Brandolini.